
"L'abito non fa il monaco". O anche "non si giudica un libro dalla copertina". Due detti popolari per dire che le apparenze ingannano e che ben si prestano per definire il carattere dell'opera La Traviata, musica del Maestro Giuseppe Verdi, libretto di Francesco Maria Piave. Ricordiamo che lo spettacolo, immortale non solo per vocazione ma anche per sua natura, è andato in scena al Teatro alla Scala di Milano nei mesi di febbraio e marzo dell'anno che si è appena concluso, il 2017.
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Tratto da La signora dalle camelie di Alexandre Dumas Figlio, La Traviata racconta la storia dell'amore tra Violetta Valery, cortigiana affetta da tisi, e il giovane borghese Alfredo Germont, il cui padre Giorgio all'inizio osteggia il legame vedendovi la volontà di Violetta di ottenere (e sperperare) il denaro di Alfredo.
Davanti alle evidenti prove della buonafede della donna, papà Germont le chiede di rinunciare ad Alfredo per permettere le nozze dell'altra figlia.
Infine, benedirà il legame tra i due innamorati quando ormai sarà troppo tardi e, malgrado il sogno di una vita felice, Violetta esalerà l'ultimo respiro tra le braccia dell'amato.
Perché, quindi, in questo caso l'abito non fa la cortigiana?
Per rispondere a questa domanda è necessario considerare il periodo in cui è ambientata l'opera di Dumas e la versione di Verdi e che costituisce uno dei motivi per cui alla prima al Teatro La Fenice di Venezia il 6 marzo 1853 La Traviata fu fischiata: metteva in scena un'usanza della società dell'epoca di cui tutti sapevano e nessuno parlava.
La professione di Violetta fa sì che papà Germont non riesca a vedere oltre le apparenze.
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È una cortigiana, quindi è certo come il Sole che l'amore che professa per Alfredo sia solo una farsa, come anche deve essere finta la malattia che afferma di avere; ma Violetta, almeno per il primo pregiudizio dell'uomo, ha un asso nella manica: i documenti con cui dimostra di stare vendendo i propri beni per finanziare il loro soggiorno in campagna senza chiedere denaro all'amato.
Sì, ok, forse non vuole i soldi di Alfredo, pensa papà Germont, e cosa fa? Le chiede di rinunciare a questo amore perché Alfredo ha una sorella il cui fidanzato non vuole sposarla se il quasi cognato non lascerà l'amante dalla nota reputazione.
Malgrado l'avanzato stato della malattia di cui soffre che, per dirla con il romanzo di Dumas, sottrarrebbe un solo anno all'avvenire dell'amato, Violetta sceglie di rinunciare ad Alfredo ottenendo, quantomeno, una sospensione del giudizio di Germont nei suoi confronti.
Durante la festa a casa di Flora (amica di Violetta) che occupa tutta la seconda parte del secondo atto dell'opera, è indubbio che Violetta, nel confronto con Alfredo, avrebbe preferito rivelargli la verità: invece mantiene la promessa fatta a Germont e si lascia odiare ben sapendo che per lei (come avviene nella migliore tradizione del melodramma) non ci sarà il lieto fine.
Quando ormai la sua malattia "non le accorda che poche ore", Violetta riceve la visita di Alfredo, venuto a conoscenza di tutto, e di papà Germont, il quale ora è pronto ad accettarla come figlia; peccato che sia costretto a rendersi conto che la donna non mentiva circa la sua malattia e di lì a poco, Violetta muore tra le braccia di Alfredo.
La morale, in questa opera, consiste nel non avere fretta di giudicare qualcuno e non fermarsi alle apparenze e guardare oltre la superficie: per questo motivo, Violetta può assurgere ad eroina romantica al pari di Gilda del Rigoletto di Verdi o di Lucia della Lucia di Lammermoor di Donizetti.
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Per l'immagine: www.we-news.com